Cos'è la Cybercartography
Cybercartography
Si tratta di una piattaforma che supporta un metodo di governance (Contratto d'abitare) interrogabile con ricerca incrociata su base GIS e che prevede un aggiornamento collaborativo:
- che favorisca la conoscenza del problema dibattuto;
- che permetta l'analisi dei luoghi georeferenziati;
- che preveda un sistema di consultazione-partecipazione con i cittadini.
La cybercartography infatti, da un punto vi vista comunicativo, è un sistema cartografico in grado di spazializzare e, al contempo, mettere a fuoco gli aspetti socio-territoriali) (Taylor et alii, 2019). Mediante l'utilizzo di forme e modalità comunicative plurime, tale piattaforma mostra il Contratto, suddiviso nelle sue fasi (co-programmazione- co-progettazione), l'uso di una cartografia interattiva e interrogabile basata sull'impiego di dati (primari e secondari) e altri documenti.
Visione
Sebbene la crisi pandemica appaia distante dal nostro quotidiano, soppiantata da altre crisi - climatica, ambientale, securitaria - costituisce una sorta di spartiacque nella progettazione territoriale in relazione alle nuove esigenze dell'abitare emerse durante tale periodo.
Accertato che in Italia i territori sono anisotropi e hanno reagito in modo differente al contagio - quelli padani registrando dati reali e di vulnerabilità al contagio da Covid 19 più elevati rispetto alle 'aree interne” che si sono testate su dati più contenuti (Casti, Adobati, Negri, 2021; Casti, Riggio, 2022) -, molti ricercatori oggi dubitano che l'abitare urbanocentrico costituisca il modello a cui mirare e ne cercano di alternativi. Di conseguenza, le 'aree interne” sono assunte non più quali territori depressi, ma laboratori da attenzionare per ricavare indizi orientativi.
Nello specifico, il confinamento durante il periodo pandemico ha acuito l'esigenza di spazi aperti a contatto con la natura mettendo al centro delle riflessioni i territori visti come un 'ritorno” alla terra, all'urbanità, all'abitare non urbano; oggi, viene prestata nuova attenzione ai sistemi economici locali e alle potenzialità dei luoghi in un rapporto equilibrato con la natura (Marson, Tarpino, 2020; Meini, 2024). Si registra la preferenza per gli spostamenti a breve raggio, e per i nuovi rapporti, anche affettivi, che si istaurano con i luoghi di permanenza saltuaria, vera e propria tendenza verso la prossimità; ad essa si unisce un'altra tendenza proveniente dal mondo del lavoro che, per le potenzialità tecnologiche e di connessione digitali, fanno ricalcolare la distanza tra casa e luogo lavorativo (Zignale, 2020): accertato che dalla coincidenza tra questi due luoghi non dipende necessariamente la qualità dell'abitare che, piuttosto, deriva dalle buone condizioni ambientali e dalla rete dei servizi di mobilità, si reimposta il calcolo della distanza e con essa si riflette sulla correzione della dicotomia urbano/aree interne.
In tale contesto, inoltre, si sperimentano progettualità che, nel mentre riequilibrano tale divario, affrontano congiuntamente i problemi territoriali e ambientali incardinati sulla questione climatica . Per esempio, lo spopolamento - problema principale delle aree interne - non è più valutato esclusivamente come crisi demografica, ma, in relazione al cambiamento climatico è considerato una concausa del dissesto ambientale: se l'aumento delle temperature e lo scioglimento dei ghiacciai accelerano i dissesti idro-geologici, la scarsa manutenzione e l'abbandono delle attività agro-silvi-pastorali favoriscono il degrado dei suoli; allo stesso modo, la de-crescita della popolazione non è più ricondotta esclusivamente all'esodo e alla contrazione delle nascite ma è vista come trasformazione sociale derivante dalla sostituzione dei valori territoriali con quelli veicolati dall'idea di wilderness: si dimentica che la montagna - quale prototipo delle aree interne - è l'esito di un secolare rapporto uomo-ambiente che esula dal 'selvaggio”, dalla natura incontaminata e che la risoluzione della sua crisi passa dal riappropriarsi dei suoi valori olistici; insomma, l'esclusivo ripopolamento non può risolvere la crisi se non viene messa in relazione all'abitare e al cambiamento che la figura dell'abitante ha subito in relazione al vivere mobile.
Si esamina, altresì, il dibattito internazionale sulle cause del cambiamento climatico per ricavare nuove prospettive metodologiche e favorire il dialogo tra discipline includendo gli apporti che non provengono esclusivamente dall'ambito specialistico, ma che intercetta anche quello esperienziale.
Lo scenario contemporaneo appena descritto costringe a riflettere sui presupposti della ricerca territoriale, sul ruolo del ricercatore nella progettazione e sugli strumenti di governance necessari per attuarla. Il presente articolo prospetta il contratto d'abitare quale metodo di governance all'interno di una prospettiva di partecipazione rinnovata che Jacques Levy definisce 'un'attitudine mentale prima che un programma di ricerca” per il geografo (2019).
L'abitabilità della terra: risposta geografica al cambiamento climatico
L'abitabilità della terra
Risulta superfluo ribadire che il cambiamento climatico costituisce la tela di fondo della policrisi contemporanea; come risulta vano enumerare gli ambiti in cui le ripercussioni di tale cambiamento si manifestano. Il panorama è molto vasto e, a volte, per la varietà delle poste in gioco che tocca e per la molteplicità degli esiti che investe, dispersivo; esso spazia da quello dell'etica ambientale a quello di giustizia sociale, da quello economico a quello dell'aumento delle povertà. Allo stesso modo, risulta poco utile richiamare tutti gli attori che vi partecipano. Basti ricordare, tra quelli politici, l'ONU con le Conferenze che organizza sul clima e l'UE con le Agende sulla sostenibilità, ma anche la discesa in campo della Santa Sede con le esortazioni di Papa Francesco e le sue Encicliche che innalzano l'ambiente tra i diritti umani fondamentali (Turco, Maggioli, 2024).
Conviene, piuttosto, limitarsi ad accennare alle due posizioni emerse all'interno del dibattito scientifico internazionale sul problema: quella ecologista che ha assunto lo slogan 'salviamo il Pianeta'; quella geografica che argomenta l'abitabilità della Terra. Ho già descritto queste posizioni in altra sede (Casti, 2023); qui, mi limito a ricordare che gli studiosi, pur condividendo l'assunto che l'accelerazione della crisi climatica ha origini umane e che è necessario partire dalle radici culturali del rapporto uomo-natura, impostano in modo differente il ragionamento.
Le posizioni che si sono determinate all'interno di tale dibattito - che, da alcuni anni, impegna climatologi, ecologisti, filosofi, antropologi, geografi e altri ricercatori - sono riassumibili nel ragionamento dei suoi principali esponenti.
Il metodo
Consultando una delle numerose app di intelligenza artificiale, come ChatGPT o Perplexity, si legge che l'espressione “transdisciplinarità”, coniata nel 1970 da Jean Piaget , è un approccio alla realtà e una visione olistica del sapere che si differenzia dalla multi- e dalla inter- disciplinarità per la possibilità di andare “al di là” e “attraverso” le discipline. Essa mira a comprendere la realtà integrando le prospettive e i metodi, provenienti da ambiti diversi, per sviluppare approcci innovativi che superino le tradizionali divisioni tra scienze naturali e sociali. Prende in considerazione la risoluzione di problemi complessi e interconnessi - quali la sostenibilità, il cambiamento climatico, la salute pubblica e l'innovazione tecnologica - affrontandoli congiuntamente da più settori scientifici. In sintesi, la transdisciplinarità viene prospettata come un approccio alla conoscenza che abbraccia la complessità e la pluralità, offrendo prospettive per comprendere e affrontare le sfide contemporanee colmando il divario esistente tra rigore scientifico e rilevanza sociale
La sua formalizzazione non è recente. Già nel 1996 il fisico teorico Basarab Nicolescu pubblica Il Manifesto della Transdisciplinarità che ne riassume i presupposti ed esplicita che si tratta di un'attitudine ampia ed inclusiva per approcciare la complessità nella ricerca . Tale volume è stato ripreso recentemente in Italia per riflettere sui termini operativi di tale approccio (Buonanno, Burgio, 2023), mettendo in luce che la transdisciplinarità amplia la visione della ricerca, ma soprattutto genera pratiche di pensiero non paratattiche che fanno “del mescolamento una risorsa, della contaminazione un'opportunità per costruire comunità a-venire dialoganti” (Rispoli, 2023 p. 8). Infatti, tale approccio non interessa esclusivamente le discipline, intese quali recinti di specialità, ma apre ai saperi non codificati prodotti al di fuori dell'accademia, dagli stessi abitanti che possono così partecipare al processo di decodificazione della realtà, dando luogo, attraverso l'interazione con il mondo scientifico, all'inclusione di “livelli di osservazione” altrimenti non rappresentati: mediante team eterogenei si amplia la visione e si giunge a soluzioni innovative perché scaturite dall'insieme di conoscenze tecniche ed esperienze sociali.
Orientato prevalentemente all'azione e alla risoluzione di problemi concreti, tale approccio punta alla collaborazione dei partecipanti durante tutte le fasi del procedimento: dall'individuazione del problema alle soluzioni proposte, dal confronto di posizioni differenti alla costruzione di strumenti comunicativi di cooperazione. Per esempio, quando la transdisciplinarità viene praticata per risolvere problemi inerenti gli esiti territoriali del cambiamento climatico, essa permette di fare un salto di prospettiva per allontanarsi definitivamente dal masterplan quale strumento di progettazione elaborata “dall'alto” (Lévy J., Fauchille J-N., Pòvoas A., 2018). L''idea di “piano” quale strumento cardine al suo interno è abbandonata: se il piano trova esplicitazione in un'attitudine alla verticalità decisionale, la collaborazione rovescia la prospettiva e punta all'orizzontalità centrata sul gruppo di ricerca: la sua composizione eterogenea data dagli esperti dei diversi settori implicati (abitanti, amministratori, portatori di interesse, mediatore-territorialista) favorisce l'integrazione dei vari punti di vista facilitando la presa di decisione collegiale . Tale trasformazione si manifesta anche l'interno della ricerca: nella scelta degli aspetti indagati, dei dati raccolti, nelle funzioni da attribuire agli artefatti programmati. Ma non solo. La prospettiva temporale cambia e l'intervento è inteso non più tanto in chiave emergenziale o contingente, ma è visto sul lungo periodo.
L'assunzione di tale prospettiva, tuttavia, non è scevra da rischi e da fallimenti che riguardano l'appropriata gestione della collaborazione tra le diverse discipline e le altre parti interessate, oltre al possesso di competenze e di strumenti di comunicazione in grado di creare condivisione tra i partecipanti. In tale contesto grande l'importanza ricopre l'attitudine mentale sia del territorialista, nel ruolo di mediatore nella governance, sia dell'abitante, nel ruolo di city user espressione di urbanità.
Mi soffermo su tali attitudini nel prossimo paragrafo affrontando il contratto d'abitare come procedimento di co-progettazione e metodo di governance inseribile nel contesto normativo italiano.
Co-progettazione
La complessità della sfida della crisi/progettazione del territorio richiede un approccio transdisciplinare volto all'integrazione delle conoscenze e che, per colmare il divario tra rigore scientifico e rilevanza sociale, realizzi una co-progettazione come attitudine mentale prima che come programma di ricerca. Lo scopo è favorire l'emergere di una progettualità suggerita dalla peculiarità dei luoghi e dalla conoscenza/esperienza degli abitanti, assunti non più esclusivamente come destinatari degli interventi, ma come co-progettisti e valutatori dell'intervento stesso. Il contratto d'abitare, infatti, è volto, non tanto a suggerire progetti, ma, a fornire analisi e prospettive a supporto agli enti locali per rendere più chiara la loro prospettiva, per individuare la coerenza tra obiettivi di breve e di lungo periodo e per suggerire il modo per realizzare la progettualità fornendo strumenti per valutarli.
Il suo ideatore, Jacques Lévy precisa che il contratto d'abitare è una forma di democrazia “interattiva” in cui un insieme attoriale (stakeholders pubblici e privati, cittadini, tecnici della progettazione) interessati a rigenerare un'area, dialogano tra loro nelle diverse fasi della progettazione senza ruoli preminenti e prestabiliti. Abbandonato il ruolo di promotori di progetti su cui interrogare i cittadini, gli attori istituzionali chiedono all'esperto territorialista, chiamato a svolgere il ruolo di mediatore politico, di seguire il processo di co-costruzione del contratto, di mettere a fuoco gli aspetti operativi di quanto proposto dai cittadini, mostrandone potenzialità e difetti. Egli deve alimentare, al contempo, la consapevolezza degli abitanti di essere artefici e giudici dell'operato e delle prospettive concordate durante il confronto, e di rimarcare la responsabilità di ciascuno da cui deriva anche il diritto di possedere strumenti di rivalsa o di ristoro nel caso in cui tali prospettive siano disattese nell'esecuzione.
In sintesi, il contratto è una “manifattura di urbanità” poiché investe l'intero processo di ideazione-progettazione-esecuzione dell'intervento di trasformazione territoriale; definisce e legittima il ruolo e la pluralità dell'abitante e quello del mediatore territorialista; infine sposta il focus del progetto dall'ideazione alla sua processualità fino a giungere alla sua realizzazione.
Ecco, i suoi presupposti:
✓ Il primo è che un territorio è prodotto a ogni istante e sul lungo periodo da tutti i suoi abitanti, effimeri o permanenti, detentori di potere o cittadini ordinari, a tutte le scale. In tale prospettiva risiede l'innovazione del contratto d'abitare: riconoscendo la transcalarità del luogo, il cittadino residente è assimilato al city-user e, al contempo, il progettista, sin dall'inizio del processo decisionale, svolge il ruolo di mediatore politico, tra amministratori e comunità. Infatti, se l'articolazione istituzionale locale -data dai Comuni, dalle Comunità montane, dai Bacini idrografici o altri enti territoriali- si allarga e assume modalità progettuali e attitudini al confronto rinnovate, è necessario operare, secondo i canoni del diritto amministrativo, alla ricerca costante di un punto di equilibrio tra interesse pubblico e libertà e diritti dei privati. Infine, va tenuto presente che per la realizzazione della qualità della vita e, dunque, del benessere collettivo a multiple scale, da quella locale a quella globale, la figura dell'individuo, i suoi bisogni, le sue aspettative siano considerati prioritariamente;
✓ il secondo – strettamente connesso al primo - è che il contratto d'abitare assume l'urbanità quale cifra identificativa del vivere contemporaneo, caratterizzato dalla capacità di abitare i luoghi a scale diverse, di creare legami temporanei, relazioni superficiali indispensabili a una vita pubblica. Come ho già precisato, l'abitare non è solo una questione di casa, ma di territorio in generale: abitiamo la terra e il mondo, non solo il luogo in cui si svolge la maggior parte delle nostre pratiche quotidiane. Ne consegue che questa modalità dell'abitare ha ripercussioni multiple, soprattutto sull'ambiente, aprendo così la questione nodale, già affrontata, di chi sia l'abitante nelle sue molteplici e multi-scalari azioni . Insomma, il contratto d'abitare si pone nell'ottica di innalzare la progettazione sul piano della interdipendenza tra il locale-globale e, al contempo, propone soluzioni ai conflitti ambientali mediante pratiche e strumenti che assorbano nel dialogo la differenza degli interessi mettendo in rilievo la complementarietà dei risultati ottenibili, nella prospettiva di garantire l'Ecumene.
✓ il terzo presupposto riguarda la nuova figura del tecnico-progettista quale produttore permanente di urbanità: esso è un attore tra altri attori, anzi un attore specifico, dedicato alla mediazione politica strategica per la co-costruzione di un contratto d'abitare. Nel ruolo di mediatore, il progettista è chiamato a gestire il confronto, assumendo non tanto un programma, ma una apertura verso il divenire. Infatti, l'innovazione introdotta dal contratto è quella che, una volta che abbia abbandonato i canoni disciplinari e si sia inoltrato nella conoscenza in devenire prodotta in modo transdisciplinare, il progettista superi l'idea che il suo obiettivo è la realizzazione di un qualche programma ma, piuttosto, gestisca situazioni inedite: mediante un metodo di lavoro, adattato alla specificità del luogo e in grado di far emergere punti di vista pur se minoritari, con un metodo maieutico. Attualmente, invece, l'urbanista è un tecnico al servizio delle persone che dispongono di una legittimità elettorale (sindaco, assessori, …), ma nel significato profondo dei ruoli, il progettista è il più politico tra gli attori coinvolti nella co-progettazione, poiché stabilisce le regole del gioco. Il fatto che non debba immediatamente “rendere conto” agli elettori può essere una forza, ma altresì una debolezza, perché gli eletti possono pensare che lui sia al loro servizio. Dunque, per il progettista assumere la prospettiva del contratto significa, in primo luogo, mirare a produrre legittimità potenziale che scaturisca da un lavoro di co-costruzione con tutti gli attori coinvolti. Va ribadito che è importante recuperare il suo ruolo come fabbricante di legittimità, poiché in un sistema di conflitto in cui gli attori abbiano scopi diversi, non deve cercare di trovare una soluzione, ma di mettere a fuoco la complessità della sfida. Insomma, il progettista aiuta e favorisce la presa di decisione quando chiarisce qual è il problema; quando evidenzia la sfida da intraprendere e come essa deve essere affrontata, non solo per una risoluzione contingente, ma prospettata nella sua temporalità a lungo termine; infine, deve mettere in chiaro che tutti gli attori implicati hanno delle responsabilità di gruppo e individuali. In sintesi, il lavoro del tecnico territorialista è quello di rendere consapevoli tutti gli attori della complessità delle sfide che devono essere presentate nitidamente nella loro dinamica diacronica.
✓ infine, il quarto presupposto risiede nella frase Research by design, design by research: nella progettazione, la ricerca si radica nell'attuare e il progetto nell'osservare. Questo principio è importante perché tradizionalmente i team multidisciplinari del progetto lavorano disgiunti e gli analisti territoriali, mediante l'osservazione producono analisi che, successivamente, gli architetti utilizzano per affrontare la creazione dei progetti, determinando però una perdita (o una svalutazione) di informazione tra le due fasi. Bisogna fare il salto di prospettiva transdisciplinare esibendo analisi e conoscenze disciplinari quale presupposto per attivare una dinamica spontanea con i city user e i partecipanti al tavolo di discussione/condivisione.
In conclusione, il contratto d'abitare si esprime quale manifattura di urbanità quando si allontana dalle prospettive del Masterplan come strumento di azione finalizzata alla redazione degli strumenti di Piano; piuttosto, si propone come un metodo di governance che entra nella progettazione condivisa in grado di affrontare le nuove sfide e individuare azioni di rigenerazione con alcune caratteristiche specifiche, su cui ritornerò nelle prossime pagine. Ora tuttavia consideriamo la sua strutturazione.
Il Massiccio Orobico
Il massiccio orobico rappresenta un laboratorio territoriale complesso in cui sperimentare il contratto d'abitare. La struttura metromontana delle sue valli mostra reti storiche, usi civici e pratiche agro-silvo-pastorali che suggeriscono nuove traiettorie progettuali oltre il paradigma urbano-centrico.
Le esperienze di ricerca in corso evidenziano come la valorizzazione delle potenzialità ambientali e sociali del massiccio richieda una governance condivisa: dal contrasto allo spopolamento alla creazione di nuovi spazi di interazione, passando per la tutela dei suoli e delle risorse idriche.
Riconoscere la pluralità degli abitanti – montanari, nuovi residenti, city user temporanei – significa rafforzare una visione cooperativa capace di armonizzare esigenze economiche, ambientali e culturali. Il massiccio orobico diventa così un perimetro strategico per testare politiche di abitare responsabile e partecipato.
Governance
Oltre che come procedura di co-progettazione il contratto d'abitare intende porsi come un metodo di governance dotato di una forma contrattuale, che garantisce forme di compensazione/rimborso nel caso in cui il contratto non venga rispettato durante o dopo il suo completamento. Consideriamo, dunque, la sua collocazione in ambito normativo.
4.1 Dalla partecipazione alla democrazia partecipativa - In Italia, con il Decreto legislativo n. 117/2017 relativa al Terzo Settore, la partecipazione diventa strumento di governance nei procedimenti amministrativi relativi alla progettazione del territorio. Ribadendo quanto già stabilito nel 1990, con la Legge 241, ossia che le Amministrazioni pubbliche debbano perseguire forme di democrazia partecipativa in grado di raccogliere e tener conto delle opinioni degli abitanti, la partecipazione diventa un principio dell'azione amministrativa e, in quanto tale, si dota anche di strumenti giuridici in grado di esprimerla che trovano forma realizzativa mediante una doppia declinazione del principio di sussidiarietà: verticale, ossia una concatenazione operativa degli enti amministrativi territoriali (Stati, Regioni, Comunità montane, Comuni, …); orizzontale, affidando le attività di interesse pubblico a operatori privati nell'ambito sociale (Associazioni e Terzo Settore). Si procede a definire alcuni istituti, dando una nomenclatura specifica nel processo partecipativo -soprattutto in quello rivolto agli interventi di interesse generale- distinguendolo, al suo interno, in due fasi che vengono denominate di co-programmazione e di co-progettazione: nella prima si identificano i bisogni, le risorse disponibili e si definiscono gli obiettivi e gli interventi da realizzare; nella seconda, si chiariscono i dettagli tecnici, e le modalità di attuazione del progetto o dell'intervento.
Per adeguarsi al nuovo paradigma, i progettisti, a loro volta, adottano nell'ambito dell'urbanistica forme consensuali, ovverosia strumenti di partecipazione, alcuni dei quali negoziali, come gli Accordi di programma, che - garantendo una migliore rappresentanza degli interessi coinvolti - favoriscono la programmazione partecipata ovvero negoziata22. Nel nostro caso risulta particolarmente interessante tale ricostruzione poiché potrebbe costituire l'ambito normativo in cui collocare il contratto d'abitare. Tale ipotesi è giustificabile dall'analogia della loro suddivisione interna, quella di conoscenza per il Contratto da far corrispondere a quella di co-programmazione; quella di progettazione assimilabile a quella di co-progettazione dell'Accordo. Tale collocazione, tuttavia, non deve offuscare la profonda diversità tra l'urbanistica consensuale e il contratto d'abitare, visto che la prima è un procedimento che norma un accordo mentre, viceversa, il contratto d'abitare intende agire a monte, ovvero scandagliare la specificità dei territori e la valorizzazione delle esperienze delle comunità cambiando il piano su cui si regge l'intesa dell'Accordo di programma. Si capisce, allora, l'importanza sia della figura del mediatoreterritorialista sia di quella dell'abitante. Il primo deve essere un analista del territorio ed un esperto di metodi transdisciplinari in grado di creare le condizioni di una progettazione condivisa rivolta a considerare i bisogni contingenti e a valorizzare le potenzialità socioambientali in una prospettiva temporale di ampio periodo.
Un esempio della messa a punto del profilo di tale figura è in via di definizione all'interno di una ricerca interdisciplinare sul Massiccio orobico - un corpo montuoso che interessa alcune valli lombarde - dove, in presenza di tracce della funzionalità reticolare dei versanti e della gestione basata sugli usi civici dei beni comuni25, si stanno individuando elementi ispiratori di una progettazione che, recuperando tali valori e valorizzando le potenzialità ambientali, rovesci l'idea di una rigenerazione della montagna basata su un modello urbano-centrico assumendo, viceversa, quello di “massiccio metromontano”26. Rimarco, per sgombrare il campo da facili fraintendimenti, che il recupero della storicità non è finalizzato all'adozione di tale modello ma piuttosto è funzionale alla ricerca di nuove soluzioni che, da un lato, rispondano al problema cardine dello spopolamento e alle esigenze di urbanità dei suoi abitanti - quali la connettività, la fruizione dei luoghi, la presenza di nuovi spazi di interazione (virtuali e reali)-, dall'altro, siano incardinati sull'esperienza storica e sulle potenzialità ambientali inespresse27.
È facile comprendere che la prova del nove per valutare l'attitudine di tale professionista si gioca sulla sua capacità di creare un rapporto fiduciario tra i partecipanti, tenendo conto della complessità che la figura dell'abitante ha acquisito nel tempo28. Infatti, abbandonata l'idea che l'abitante possa essere identificato con il residente - poiché tale identificazione esclude il recupero dell'urbanità quale modalità insita del vivere mobile contemporaneo- esso è assunto come city user, il cui profilo è articolato e plurale essendo basato sulle multiple variabili dell'esperienza del territorio. Esse riguardano la modalità materiale e immateriale dell'abitare il luogo, la durata, saltuaria o permanente, del soggiorno, il motivo - residenziale, ludico o lavorativo - per cui lo abita, la conoscenza o l'ignoranza dei suoi valori e la consapevolezza delle sue potenzialità o problemi. Insomma la figura dell'abitante è ricondotta al fatto che oggi l'abitare non è solo un fatto spaziale, ma un comportamento sociale transcalare che dettaglia e complessifica il suo profilo (Lévy, 2022).
Nel caso del Massiccio orobico, ritornando all'esperienza di terreno in corso, il mediatore deve tener conto che la figura dell'abitante è costituita da: montanari, eredi e testimoni di pratiche e valori della cultura tradizionale come pratica di sopravvivenza; residenti adulti, che hanno resistito all'esodo verso la pianura ma che, pur conoscendo la cultura tradizionale, non sono pienamente consapevoli del suo valore, contagiati come sono da modelli e stereotipi urbani; giovani nati in montagna che, come è stato efficacemente definito, de-localizzano altrove i desideri per il loro futuro; “nuovi montanari”, che sono andati a vivere in montagna quale scelta di vita; turisti che praticano la montagna come luogo di svago e vacanza ignari dei suoi valori; pensionati che l'hanno scelta perché permette una vita più lenta e semplice in presenza di servizi assistenziali e sanitari; abitanti fattuali o potenziali, che alternano, o potrebbero alternare, la residenza t
Partecipazione e Comunità
La partecipazione è il motore del contratto d'abitare: integra saperi specialistici e vissuti quotidiani per generare decisioni condivise. Ogni fase del processo – ascolto, progettazione, valutazione – richiede strumenti che mettano in relazione amministrazioni, tecnici e cittadini.
Dalla co-programmazione alla co-progettazione, la governance partecipativa costruisce fiducia e responsabilità reciproca. Attraverso assemblee pubbliche, laboratori territoriali e piattaforme digitali, le comunità possono contribuire alla definizione di scenari comuni e monitorarne l'attuazione.
Promuovere la partecipazione significa anche sostenere la formazione di mediatori territoriali capaci di tradurre bisogni e visioni in azioni coordinate, garantendo trasparenza, accessibilità e continuità nelle politiche per l'abitare.